8 marzo, Spi Cgil: “La medicina di genere la migliore scelta per le donne”
“I farmaci vengono saggiati su uomini giovani dal peso medio di 70 kg per un’altezza di un metro e 80. A fronte di donne che assumeranno questi prodotti e magari sono alte un metro e 60, pesano 50 kg e hanno 80 anni. Che qualcosa non stia funzionando è evidente”.
Affinché la cura del genere femminile nel sistema sanitario sia davvero valida, bisognerebbe partire dai farmaci. Questi andrebbero testati anche sul corpo delle donne e non solo, come invece avviene, su soggetti maschi e giovani. Ma anche dalle diagnosi che andrebbero cucite su misura per soggetti di sesso femminile e non solo maschile, come invece per lo più avviene.
La medicina di genere è la risposta a questi e ad altri quesiti e in Italia si è trasformata in Legge 3 del 2018, ma purtroppo non è ancora capillarmente diffusa. E questo pesa soprattutto sul territorio siciliano.
Stamattina nel corso dell’ incontro promosso in occasione dell’imminente Giornata dell’ 8 marzo, dallo Spi Cgil e dal suo Coordinamento donne con il patrocinio gratuito dell’Ordine dei medici, sul tema “Una nuova sfida per il futuro. Dalla medicina di genere verso la medicina personalizzata”, sono stati divulgati alcuni dati catanesi raccolti dallo Spi (fonte assessorato regionale della Salute). Dati che, come ha sottolineato nella sua relazione Margherita Patti, segretaria SPI CGIL Catania e responsabile Politiche di genere del sindacato che quei dati li ha raccolti ed elaborati, “evidenziano la diversa incidenza delle malattie e le differenze nelle risposte alle cure fra uomini e donne”.
Ma vediamoli più da vicino.
Sono 1.066.765 le persone residenti a Catania e provincia, e stando ai numeri del gennaio 2021 sono così distribuite: il 14,3% hanno da 0-14 anni di
età, il 20,6% da 65 anni e più.
Se poi analizziamo il numero medio dei decessi dal 2012 al 2020 osserviamo che è di 5.122 uomini contro 5.377 donne.
La mortalità del sistema circolatorio riguarda 1.758 uomini contro 2.200 donne; la mortalità dei disturbi circolatori dell’encefalo riguarda 526 uomini contro 786 donne. Rimanendo ancora nell’ambito dei dati provinciali, il diabete colpisce 265 uomini contro 321 donne. E ancora: nell’ambito delle mortalità per broncopneumopatia si registrano i decessi di 187 uomini contro quelli di 112 donne; mortalità per tumore alla mammella 231 donne, mortalità per tumore all’utero, 57 donne.
“Questi dati parlano chiaro- commenta Margherita Patti– Per questo serve da un lato diffondere tra tutti i professionisti coinvolti una cultura verso un nuovo approccio che sia capace di riconoscere l’impatto delle differenze di sesso e genere, e dall’altro, si dovranno intercettare i bisogni formativi specifici di ciascun professionista, tenendo conto delle diverse qualifiche e delle diverse aree di competenza. Parlare di donne e salute significa dunque affrontare i temi della salute delle bambine, delle adolescenti, delle ragazze, delle donne adulte e anziane. Significa parlare della salute con una particolare attenzione alle differenze di genere e ai bisogni diversi in relazione all’età, alle condizioni di vita, di lavoro, economiche, sociali, familiari, tenendo presente anche il fatto che molte donne provengono da altri Paesi del mondo. Ancora oggi, però, la ricerca in campo medico e la pratica quotidiana scontano ritardi legati al genere: rispetto al tema della salute e sicurezza sul lavoro, ad esempio, registriamo spesso l’inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale in dotazione alle lavoratrici”.
Un discorso a parte va poi fatto per le persone transgender, ancora in assoluto le più discriminate sia nella ricerca che in troppi altri aspetti della sanità, coì come andrebbe affrontato nel campo della intelligenza artificiale che sin da subito andrebbe istruita rispettando, appunto, le differenze.
Patti ha anche evidenziato le dieci malattie che colpiscono maggiormente le donne rispetto agli uomini (infarto, endometriosi, cancro della cervice, cancro al seno, cancro dell’ovaio, osteoporosi, ictus, depressione, disabilità, mal di testa). Per ciascuna, uomo e donna reagiscono in maniera diversa a partire dai sintomi e dunque dalla eventuale difficoltà di diagnosi.
Quale potrebbe essere dunque una soluzione? “Oggi sono presenti associazioni e istituzioni. – ha concluso Margherita Patti- Questo è fare rete, ed è ciò che ci consente nei fatti di passare dalla diffusione della medicina di genere alla sua reale applicazione”.
Per Rosaria Leonardi, segretaria confederale Cgil di Catania che ha introdotto i lavori, la parola chiave è dunque “centralità del paziente”, perché “quando si tratta di malattia, uomini e donne sono diversi, sia se si parla di cura che diagnosi che riabilitazione”.
Carmelo De Caudo, segretario generale della CGIL Catania, sottolinea che “per potenziare la sanità pubblica bisogna anche tutelare i cittadini con prestazioni sanitarie di primo livello e pronto intervento che hanno come scopo quello di prevenire l’aggravarsi delle condizioni della persona e, allo stesso tempo, si pongono come alternativa all’ospedalizzazione”.
Nel dibattito in corso contano dunque molto le politiche del territorio.
Margherita Ferro, sindaca di Aci Catena, racconta di tutti gli sforzi affrontati in un contesto tradizionalmente maschile come quello dell’amministrazione pubblica e di “gestire nell’ambito dei servizi sociali, un Osservatorio contro la discriminazione di genere in un territorio disomogeneo con col mio Comune. Eppure solo attraverso l’osservazione in politica si possono fare sempre nuovi i correttivi.”
Poi c’è lo sguardo specifico degli addetti ai lavori. Elisabetta Battaglia, consigliera dell’ Ordine dei Medici di Catania e coordinatrice della Commissione OMCeO Catania, ricorda che le prime professioniste che si accorsero che qualcosa nell’approccio farmacologico non andava quando si passava al trattamento delle donne, “furono proprio le cardiologhe”, ma tranquillizza sul fatto che oggi “si può parlare di medicina personalizzata e infatti il gruppo dei medici dell’Ordine di Sicilia ha istituito un gruppo di lavoro permanente finalizzato alla formazione affinché ci sia un’appropriatezza nel cogliere il disagio, l’evoluzione della malattia e nella terapia per ogni soggetto sia esso che genere maschile che femminile. Puntiamo a una medicina specifica, appunto, per diversificare i trattamenti nei diversi sessi”.
Maria Concetta Balistreri, segretaria generale SPI CGIL Sicilia, aggiunge che
“la medicina di genere non riguarda solo le donne, anche se la stiamo trattando nell’ambito dell’ 8 marzo, ma tutti i cittadini. Parliamo di mettere al centro la persona anche nell’individuazione dei percorsi diagnostici e di cura. Però abbiamo una classe dirigente lenta e non in tutte le Asp e non tutti sindaci sono solerti a valorizzare questo principio. É evidente che anche l’accesso alle cure è determinato dalla possibilità economica e questo riduce al minimo il valore di universalità. Credo che solo facendo rete si possa e si debba cambiare “.
E sempre sul concetto di fare rete per rendere le donne più forti si innesta la testimonianza di Anna Agosta, presidente dell’associazione Thamaia onlus. “Contro la violenza sulle donne si agisce attraverso azioni sinergiche e sistemiche. Non gestiamo infatti solo il Centro anti violenza “Thamaia” ma coordiniamo la rete antiviolenza del Città metropolitana di Catania. La violenza sulle donne è un grande problema di salute pubblica e nel sistema si sta giocando una grande partita. Dovrebbe esserci un ‘accoglienza specializzata formando il personale sanitario. Cosa che per adesso non avviene”.
Ha aggiunto Giuseppina Rotella: “Abbiamo una grande responsabilità. Fare rete tra donne e per le donne. Come Cgil e Spi oggi abbiamo ancora una volta raccolto il testimone e il nostro lavoro non finisce qui”.
Claudia Carlino, segretaria dello SPI CGIL nazionale, ha concluso i lavori: “Chiediamo e rivendichiamo la presa in carico della persona, così come dice ci hanno detto dall’Europa quando hanno stilato il PNRR. La casa dovrebbe essere il primo luogo di cura ma il riferimento è anche ai servizi territoriali che devono puntare alla persona, alla donna e soprattutto alle donne non più giovani. Stiamo davvero pensando pensiamo anche alla prevenzione oltre 65 anni?
La vita si è allungata soprattutto a sud e da qui a trent’anni le over 65 saranno triplicate rispetto ad oggi”.