“Donne nelle guerre, donne per la pace”: un incontro a più voci per dire NO alla violenza contro le donne e i popoli
Le donne pagano il prezzo più alto delle guerre eppure sono proprio le donne a cercare la pace superando le appartenenze e le bandiere. É stato un coro di racconti personali e al contempo collettivi, analisi di difficili questioni internazionali e inviti all’apertura delle mente e del cuore, l’incontro “Donne nelle guerre, donne per la pace” tenutosi nell’aula di Scienze politiche e sociali, organizzato dalla segreteria confederale della Cgil di Catania e dal Coordinamento donne del sindacato.
Il convegno è stato realizzato insieme al Dipartimento di Scienze politiche e sociali Unict e al Laboratorio di ricerca e azione di genere DSPS Unict, per dare seguito alla Giornata internazionale dei diritti delle donne dello scorso 8 marzo.
L’ apertura dei lavori è stata affidata a Carmelo De Caudo, segretario generale della Cgil Catania che ha sottolineo come il sindacato catanese abbia “sempre manifestato il proprio ripudio della guerra, a partire dalla convinzione di dover dare sempre più forza all’art.11 della Costituzione. Lo ha fatto anche quando è andata a favore ed in soccorso dello sbarco dei migranti al Porto etneo e oggi continuiamo a fare la nostra parte in forma permanente, insieme alla Rete Restiamo Umani”. Rosaria Leonardi, segretaria confederale Cgil Catania, ha introdotto il tema della condizione delle donne nelle guerre, regolarmente oggetto di violenza e di stupri e dunque veicolo di umiliazione per i loro popoli e le loro religioni. La segretaria ha sottolineato con forza che “parlare delle donne coinvolte negli innumerevoli ed atroci conflitti nel mondo, e nei Paesi più vicini a noi, significa anche porre l’attenzione su quanto le donne stiano vivendo in termini di sofferenza personale, di violenze inaudite, di perdita di tutto ciò che posseggono, le case, gli affetti, il lavoro, assistendo impotenti alla morte dei figli, senza alcuna possibilità di protezione e di salvezza. Sono senza dubbio loro che vivono la peggiore brutalità della guerra, le stesse donne che non l’ hanno mai scelta né voluta”. Leonardi ha anche posto l’accento sull’importanza della partecipazione delle donne ai tavoli dei negoziati di pace, così come prevede la Risoluzione 1325/2020 del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite.
Molto d’impatto l’intervento di Stefania Mazzone, docente e delegata inclusione, pari opportunità e politiche di genere che, dopo avere portato i saluti della direzione del Dipartimento, ha parlato dell’importanza del pacifismo femminile, raccontando la propria esperienza di donna ebrea nel movimento femminista delle “Donne in Nero”, nato dall’iniziativa di nove donne di Gerusalemme. Il movimento è poi diventato nazionale raggiungendo il suo apice al culmine dell’Intifada con alcune centinaia di donne sparse in una trentina di località in Israele.“Reagendo a ciò che consideravano una grave violazione dei diritti umani da parte dei soldati israeliani nei territori occupati, le Donne in Nero si riunivano con qualsiasi condizione atmosferica e a prescindere da qualsiasi circostanza politica. -racconta- Le veglie si tennero ininterrottamente fino al 1994, dopo la firma degli accordi di Oslo, quando il movimento si sciolse ufficialmente. Nell’ottobre 2000, con lo scoppio della seconda Intifada, le proteste si riattivarono e si estesero ad altri paesi in tutto il mondo. Oggi le Donne in Nero denunciano il pogrom di Hamas del 7 ottobre contro donne, uomini e bambini ebrei e chiedono la fine delle ostilità, il ritiro di Israele, il rilascio degli ostaggi e la fine del potere di Hamas”.
Grandissima è stata l’emozione in aula quando si sono collegate on line Angelica Edna Calò Livne, da un kibbutz di Israele, Samar Sahhar (Palestina) dalla Cisgiordania e Katya Nesterenko, giornalista ucraina, da Kiev.
Le loro parole hanno commosso la platea, ma soprattutto hanno lasciato in eredità le parole forti e veritiere di due madri per la pace. Molto forte anche la testimonianza in presenza, di Liudmyla Sadviska che ha raccontato la sua esperienza di guerra in Ucraina.
La voce delle volontarie di Emergency arriva da echi di Paesi in guerra, grazie alla testimonianza della volontaria Agata Scordino che ha raccontato un progetto già realizzato in Afghanistan: “Le donne sono vittime indirette della guerra proprio nel loro ruolo di madre -ha detto- Come conseguenza della guerra, i fattori di rischio per la vita della donna in gravidanza e nel parto aumentano. L’esperienza del Centro di Maternità di Emergency ad Anabah, in Afghanistan lo evidenzia; il Centro, attivo dal 2003, ha registrato oltre 70.000 nascite e oltre 480.000 visite. Il ritiro delle truppe internazionali nell’agosto 2021, dopo 20 anni di conflitto, e la restaurazione dell’Emirato Islamico afghano, che ha imposto restrizioni all’educazione e alle possibilità lavorative delle donne, getta non poche ombre sul futuro della salute delle donne afghane, e testimonia emblematicamente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, l’inutilità della guerra”.
Ma c’è uno sguardo specifico delle donne sulla guerra? Il quesito parte dalla scrittrice Marinella Fiume che ha raccontato il proprio impegno come autrice contro la violenza sulle donne, citando il suo libro “Le Ciociare di Capizzi” che narra storie di donne siciliane stuprate durante la seconda guerra mondiale: “Credo di sì.- ha risposto- Esso si caratterizza in questi aggettivi che sintetizzano parole di donne: estranee, eretiche, infedeli. E non solo verso la guerra, ma anche verso la retorica di una storiografia della Liberazione che ha voluto ignorare i risvolti. Mi riferisco in particolare agli stupri subiti dalle donne di Capizzi da parte dei goumiers del IV Tabor sbarcati in Sicilia con gli alleati in occasione dell’operazione Husky”.
La docente e scrittrice Giovanna Nastasi ha proposto al pubblico uno speciale storytelling sul tema delle madri nelle guerre dal titolo “Le mani della Madre”, tratto da un testo di Massimo Recalcati e nei fatti una potente disamina sulla figura della madre tra letteratura e realtà. “Con questo testo l’obiettivo è parlare del materno come disposizione ad accogliere e ad accompagnare la vita che va oltre il vincolo biologico o di genere. Il racconto si snoda attraverso alcune figure della letteratura ma anche storie reali per concludersi con il testo “Tre madri” di Fabrizio De André, ossia tre croci sul Golgota sono il simbolo di un materno umanissimo che non scappa di fronte a niente”.
L’attrice catanese nota al grande pubblico italiano, Guja Ielo, che in più occasioni ha manifestato la sua sensibilità per i temi dei diritti delle donne, ha recitato due brani; uno dedicato a Peppa la Cannoniera, l’eroina siciliana che durante le insurrezioni antiborboniche catanesi, con coraggio e astuzia, riuscì a proteggere la città etnea dalle truppe regie, e il “Monologo su Timoclea” scritto da Francesco Pulejo.
La segretaria confederale della Cgil Sicilia, Gabriella Messina, ha chiuso i lavori all’insegna della consapevolezza di cosa un sindacato importante come la Cgil può fare affinché tutte le donne escano da una condizione di fragilità: “Come Cgil siamo impegnati, nella contrattazione e con protocolli specifici in molti luoghi di lavoro, a fare venire alla luce tutte le condizioni di disagio, vessazione, mobbing e molestie subite dalle donne. Siamo anche impegnati in spazi di ascolto in rete con le associazioni di donne. Sul tema della parità di genere il nostro paese deve ancora fare tanti passi in avanti, sul piano culturale riteniamo che bisogna agire contro l’attitudine alla sopraffazione, figlia non solo di una residua cultura patriarcale, ma anche delle fragilità e dello sbandamento valoriale”.